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Tiroiditi: come accorgersi che qualcosa non va? La diagnosi e i trattamenti

Intervista alla dott.ssa Elena Barbieri, endocrinologa CDI

Tiroiditi: come accorgersi che qualcosa non va? La diagnosi e i trattamenti

Le tiroiditi sono dei processi infiammatori della tiroide che si distinguono in: acute, subacute e croniche.
Le tiroiditi acute sono le più rare e le più facilmente riconoscibili perché sono la conseguenza di un processo infettivo da parte di batteri in seguito ad una manovra invasiva eseguita sulla tiroide (ad esempio un agoaspirato). Il paziente avverte, nei giorni successivi alla procedura, la comparsa di febbre associata ad un importante dolore alla base del collo ed a cute localmente calda ed arrossata. La conferma del sospetto diagnostico avviene mediante un esame ecografico e la terapia è basata sull’assunzione di antibiotici. Fortunatamente tale patologia è estremamente rara in quanto tutte le procedure invasive vengono eseguite in condizioni di estrema sicurezza mediante accurata disinfezione della cute e l’utilizzo di strumenti sterili monouso.

Le tiroiditi subacute sono processi infiammatori benigni che possono generare allarme nel paziente per la sintomatologia importante con cui si presentano e per i dubbi diagnostici che spesso rallentano la corretta diagnosi. La causa di questa patologia è un’infezione virale delle alte vie respiratorie (gli stessi virus che possono causare il raffreddore o l’influenza) che, per prossimità, coinvolge anche la ghiandola tiroide che è posizionata anteriormente, alla base del collo. La tiroidite subacuta è un’evenienza poco frequente nella popolazione generale e non tende a ripresentarsi più volte nello stesso paziente. L’infezione esordisce con un importante dolore alla base del collo che può acuirsi con la deglutizione al quale si associano una spossante febbricola serale (di solito non superiore ai 37.5-38 °C) ed i classici sintomi dell’ipertiroidismo (palpitazioni, agitazione, ansia, insonnia, calo ponderale). L’anamnesi di una recente infezione virale delle vie respiratorie, la sintomatologia, il riscontro di una tiroide di dimensioni e consistenza aumentate, il caratteristico quadro ecografico, il riscontro agli esami ematochimici di rialzo degli indici di infiammazione e degli ormoni tiroidei orientano il medico verso la diagnosi corretta. Trattandosi di una comune infezione virale, la guarigione è destinata a presentarsi spontaneamente ma con tempi piuttosto lunghi, anche di 2-3 mesi. L’importanza della sintomatologia associata ai lunghi tempi di guarigione fanno sì che sia consigliata la prescrizione di una terapia a base di cortisone e di acido acetilsalicilico che ne acceleri il processo. La terapia farmacologica è in grado di ripristinare uno stato di benessere in pochissimi giorni ma va protratta per alcune settimane, con dosi a scalare, per evitare fastidiose recidive. Il paziente andrà inoltre monitorato da un punto di vista ormonale per valutare l’eventuale necessità di correggere possibili e persistenti disfunzioni.

Le tiroiditi croniche sono la forma più comune e rappresentano la prima causa di ipotiroidismo primitivo cronico nel soggetto adulto. Si tratta di un processo infiammatorio su base autoimmune, o tiroidite cronica di Hashimoto, che si instaura in modo completamente asintomatico e che può permanere tale per diversi anni fino a che, l’infiammazione cronica, non determina uno stato di sofferenza della tiroide ed un conseguente danno funzionale che si manifesta sotto forma di un ipotiroidismo, ovvero di una riduzione della produzione di ormoni da parte della ghiandola. Come tutte le patologie autoimmuni, la tiroidite cronica di Hashimoto colpisce prevalentemente il sesso femminile con una proporzione di circa 7 donne ogni 10 persone affette. La comparsa degli anticorpi diretti contro la tiroide (Ab anti tireoglobulina ed Ab anti tireoperossidasi) risulta più frequente in pazienti che abbiano famigliari affetti dalla stessa patologia o da altre malattie autoimmuni. Dato che la comparsa dell’autoimmunità contro la tiroide esordisce e decorre in modo asintomatico, la maggior parte dei pazienti giunge alla diagnosi solo come conseguenza dei sintomi legati alla carenza di ormoni tiroidei (facile affaticabilità per sforzi fisici modesti, difficoltà nella concentrazione, disturbi del sonno e dell’umore facilità ad aumentare di peso). L’esame ecografico della tiroide mostra un caratteristico quadro di disomogeneità diffusa della ghiandola con aumento della vascolarizzazione che può orientare verso la diagnosi nei pazienti asintomatici e senza apparente famigliarità positiva per la patologia. Non esiste una terapia in grado di portare a guarigione la tiroidite cronica in quanto, trattandosi di un processo autoimmune, non esiste un farmaco in grado di indurre, in modo definitivo e privo di complicanze, il sistema immunitario a non aggredire più la ghiandola. Quello che si può fare è, nella fase preclinica, aiutare la tiroide con integratori alimentari in grado di ridurne la sofferenza, e nella fase clinica, quando è comparso l’ipotiroidismo, prescrivere dosaggi adeguati di ormoni tiroidei in modo da ripristinare il totale benessere del paziente. I pazienti affetti da tiroidite cronica di Hashimoto devono essere periodicamente seguiti da uno specialista endocrinologo in modo da monitorare inizialmente l’andamento della funzione tiroidea, e successivamente l’adeguatezza della terapia impostata in quanto il dosaggio del farmaco dovrà essere progressivamente riadattato in modo da compensare correttamente il progressivo esaurimento funzionale della ghiandola.

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