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Responsabilità per puntura da ago infetto: assolto il datore di lavoro e condannato il medico competente

La Cassazione penale torna sul ruolo di garante a titolo originario del medico competente in materia di valutazione dei rischi e sul conseguente obbligo di svolgere un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale.

Il caso riguarda la condanna di un medico competente per lesioni personali colpose a seguito dell’infortunio che ha colpito un infermiere professionale, accidentalmente punto dall’ago che stava utilizzando mentre effettuava un prelievo di sangue venoso, infettandosi col virus dell’epatite e sviluppando successivamente la malattia. Secondo i giudici di merito ciò era stato possibile perché in uso all’infermiere era un ago cannula sprovvisto di dispositivo di sicurezza, e la responsabilità dell’evento era da attribuirsi al medico competente, che aveva omesso di collaborare con il datore di lavoro nella valutazione del rischio biologico rappresentato, per il personale sanitario, anche dalla possibile contrazione di patologie infettive per via ematica a causa di punture e ferite con aghi e taglienti contaminati da sangue infetto. Per gli stessi fatti il datore di lavoro e il direttore del reparto in cui svolgeva la sua attività l’infermiere erano invece stati assolti.

Il medico competente ha proposto ricorso per cassazione sostenendo, fra l’altro, che fosse illogico essere ritenuto corresponsabile con i soggetti (il datore di lavoro e il direttore del reparto) con i quali era chiamato a collaborare, nonostante questi ultimi siano stati assolti: il venir meno della responsabilità principale avrebbe quindi dovuto far venir meno quella concorrente, del consulente, contrariamente a quanto risultato dalla sentenza. Inoltre, secondo l’imputato, non avendo il medico competente poteri di decisione e di spesa, il fatto che non fossero stati acquistati degli aghi cannula protetti non poteva essere considerata sua responsabilità.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 21521 del 1 giugno 2021, ha però confermato la condanna, affermando che: «Il medico competente è titolare di una propria sfera di competenza; si tratta di un garante a titolo originario e non derivato. E peraltro, l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente, il cui inadempimento integra il reato di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 25, comma 1, lett. a) e art. 58, comma 1, lett. c), comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale».

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