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Responsabilità amministrativa degli enti in caso di infortunio: le sanzioni interdittive vanno motivate

Secondo la Cassazione penale le sanzioni interdittive derivanti da responsabilità amministrativa degli enti sono sanzioni “principali” e non “accessorie”, e devono in ogni caso essere adeguatamente motivate indipendentemente dalle sanzioni pecuniarie.

A seguito di una condanna per lesioni personali colpose con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro un’azienda ha patteggiato, sulla base del D.Lgs. 231/2001, una condanna a una sanzione pecuniaria di euro 12.900,00, corrispondente a n. 50 quote societarie, alle quali il giudice ha aggiunto una condanna di tre mesi relativa alle sanzioni interdittive previste dallo stesso decreto (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi e divieto di pubblicizzare beni o servizi).

Avverso tale sentenza l’azienda ha proposto ricorso per Cassazione, ritenendo in primo luogo che le sanzioni interdittive non costituissero parte dell’accordo di patteggiamento e, in secondo luogo, contestando l’automatismo nella loro applicazione, ritenendo invece che si sarebbe dovuto effettuare la scelta di quale sanzione e interdittiva applicare secondo precisi criteri e operando una scelta tra le diverse possibili sanzioni interdittive, determinandone il tipo e la relativa durata, senza procedere, come invece effettuato nella sentenza impugnata, ad una loro indiscriminata applicazione in blocco.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 14696 del 20 aprile 2021, ha accolto il ricorso, ritenendo in relazione al primo profilo che: «le sanzioni interdittive sono sanzioni “principali” e non “accessorie” […]. Appare evidente, pertanto, come nel caso di “patteggiamento” l’applicazione delle sanzioni interdittive possa essere consentita solo all’esito di un espresso accordo intervenuto tra le parti, mediante il quale vengano preventivamente stabiliti il tipo e la durata della sanzione», e in relazione al secondo che «La scelta della sanzione interdittiva concretamente da applicarsi […] deve avvenire nel rispetto dei criteri fissati (per le sanzioni pecuniarie) dall’art. 11 del suddetto d.lgs. – e cioè: «tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti» -, nella ricorrenza di almeno una delle condizioni richieste dalle lett. a) e b) del successivo art. 13 – ovvero qualora: «a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative; b) in caso di reiterazione degli illeciti» – altresì provvedendo alla determinazione del relativo tipo e della sua durata, in ossequio a quanto previsto dall’art. 14 del citato d.lgs. Tutto ciò non può che essere svolto mediante un percorso logico ed argomentativo che il giudice è tenuto a rappresentare, sia pur succintamente, nella motivazione del provvedimento applicativo della sanzione interdittiva. È indispensabile, cioè, esplicare in base a quali criteri e nella ricorrenza di quali presupposti è stato ritenuto necessario disporre l’applicazione della sanzione – o anche di più sanzioni – ex art. 9, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001, altresì rappresentando le modalità attraverso cui si è pervenuti alla scelta del relativo tipo e della sua durata»

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