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Rapina in un ufficio postale: il lavoratore malmenato va risarcito dal datore di lavoro che non ha adottato idonei sistemi di sicurezza

Secondo la Cassazione civile il danno patito dal lavoratore durante un tentativo di rapina va risarcito dal datore di lavoro per mancata adozione delle cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, a meno che lo stesso datore di lavoro non riesca a provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Il caso riguarda il ricorso proposto da un lavoratore di un ufficio postale, malmenato durante una rapina, per ottenere dal datore di lavoro il risarcimento del danno biologico e del maggior danno esistenziale patiti quale conseguenza dell’episodio delittuoso.

Il Tribunale e la Corte d’Appello avevano riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per quanto accaduto, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per la mancata adozione delle opportune misure di prevenzione atte a preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore sul luogo di lavoro, quali la blindatura dell’ambiente di lavoro, la presenza di vetri antiproiettile e la vigilanza delle guardie giurate.

Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, contestando che la rapina, pur essendo un evento prevedibile in relazione all’attività che viene svolta all’interno dell’ufficio postale, è un evento non prevenibile, pur in presenza dei più sofisticati sistemi di protezione, e inoltre che  la responsabilità del datore di lavoro deve essere necessariamente collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da una fonte legislativa, ovvero suggeriti dalle conoscenze tecniche del momento.

La Sezione Lavoro della Cassazione civile, con sentenza n. 5255 del 25 febbraio 2021, non ha accolto il ricorso, ritenendo che nel caso in questione: «l’onere della prova gravava sul datore di lavoro, che avrebbe dovuto dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (prova liberatoria) derivato [al lavoratore], attraverso l’adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, di cui, correttamente, i giudici di merito hanno ravvisato la violazione, ritenendo la sussistenza del nesso causale tra il danno occorso al lavoratore, a seguito della rapina subita, e l’attività svolta dallo stesso, senza la predisposizione, da parte della datrice di lavoro, delle adeguate misure dirette a tutelare i dipendenti (oltre a quanto già riferito in narrativa, i giudici di merito hanno sottolineato che <<il roller cash si è dimostrato dispositivo in concreto inadeguato, essendo stato possibile aprirlo a comando (e il cassiere V.S. fu violentemente costretto a manovrare in tal senso), come pure le videocamere di ripresa o i pulsanti di allarme remoto, incapaci (anche in astratto) di prevenire o sventare la condotta criminosa, perpetrata da malviventi travisati e rapidi nell’agire>>».

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