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Omissione di cautele contro gli infortuni su macchinario utilizzato, su più turni, da diversi lavoratori: quali conseguenze?

Nel caso di un macchinario utilizzato su più turni da diversi lavoratori, è configurabile il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro ai sensi dell’art. 437 c.p., che prevede, in caso di infortunio, la condanna del responsabile alla reclusione fino a dieci anni? Nel rispondere a tale quesito, la Quarta Sezione della Cassazione penale si inserisce in un dibattito in attesa da decenni di una risposta definitiva.

La Quarta Sezione della Cassazione penale è stata chiamata a decidere sull’applicabilità dell’art. 437 c.p., in materia di rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, al caso di un datore di lavoro e di un RSPP di un’azienda produttrice di pannelli in legno, che avevano omesso di far collocare le protezioni periferiche antinfortunistiche previste dalla ditta costruttrice su una linea di lavorazione, operando sulla quale un lavoratore si era gravemente infortunato proprio a causa della mancanza di tali protezioni.

Gli imputati, nei confronti dei quali era già stata dichiarata, per gli stessi fatti, l’estinzione per prescrizione del reato di lesioni personali colpose ai sensi dell’art. 590 c.p., ma che erano stati condannati dalla Corte d’Appello di Torino per violazione dell’art. 437 c.p., hanno proposto ricorso per cassazione sostenendo l’illegittimità dell’applicazione di tale articolo al di fuori dell’ipotesi di pericolo riguardante collettività indistinte di lavoratori, o al più a gruppi di essi, mentre nel caso in questione il pericolo riguardava un solo lavoratore per ciascun turno di lavoro. Va ricordato che sull’ambito di applicabilità dell’art. 437 c.p. (“Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”), è da decenni in corso un acceso dibattito giurisprudenziale. Parte della giurisprudenza ritiene infatti che il bene giuridico tutelato possa essere costituito dalla sicurezza sul lavoro di una comunità ristretta di lavoratori o anche di singoli lavoratori, in quanto tale disposizione incrimina espressamente la rimozione o l’omissione dolosa di cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, i quali riguardano di solito singoli soggetti e non indistinte collettività di persone (cfr. Cass. I, n. 2033/1990, Cass. I, n. 12464/2007, Cass. IV n. 57673/2017). Altro orientamento ritiene invece necessario che l’omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi s’inseriscano in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l’inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l’attitudine, almeno in astratto, a pregiudicare l’integrità fisica di una collettività di lavoratori, o comunque di persone gravitanti attorno all’ambiente di lavoro, sufficiente, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo (cfr. Cass. IV, n. 10812/1989; Cass. I, n. 18168/2016, Cass. I, n. 4890/2019).

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 7939 del 1 marzo 2021, si è schierata a sostegno del secondo orientamento, affermando che: «La norma incriminatrice [… ] è collocata fra i delitti contro la pubblica incolumità o di comune pericolo (Titolo II, capo VI del codice penale), accomunati dalla caratteristica potenza espansiva del danno che la condotta dolosa sanzionata può arrecare all’integrità personale di una pluralità di persone. […] la dimensione soggettiva del pericolo, dunque, ciò che connota il reato resta la diffusività del rischio potenziale di danno, che non può pertanto coincidere con la possibilità di arrecare danno ad un’unica persona, come non condivisibilmente ritenuto da alcune pronunce. […] Ad escludere una simile lettura, oltre alla collocazione del reato fra i delitti contro la pubblica incolumità, concorre la previsione del secondo comma della disposizione di cui all’art. 437 cod. pen. che chiarisce come il prodursi dell’evento, quale concretizzazione del pericolo sanzionato dal primo comma, costituisca un aggravamento del reato anche qualora ne derivi ‘un infortunio’, cioè un evento dannoso che può riguardare un singolo individuo. L’utilizzo dell’articolo indeterminativo ‘un’anziché di quello determinativo assume un significato esegetico preciso, posto che laddove il primo comma fosse riferito alla tutela del singolo e non della collettività, il legislatore penale avrebbe posto in relazione il secondo comma con il primo facendo ricorso alla locuzione aggettivale ‘l’infortunio’. […] Ne discende […] che laddove l’impianto o l’apparecchiatura difettante delle cautele destinate a prevenire infortuni, per la volontaria omissione o rimozione delle medesime, non preveda l’utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di lavoratori o non sia idonea a sprigionare una forza dirompente, in grado di coinvolgere numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile, il reato di cui all’art. 437 cod. pen. non può ritenersi integrato perché non è configurabile il pericolo comune, non avendo l’azione criminosa l’attitudine a coinvolgere una molteplicità di individui. Va, dunque, esclusa la configurabilità del reato contestato, contrariamente a quanto ritenuto dalla decisione impugnata, in un’ipotesi, come quella di specie, in cui al macchinario, privato delle cautele antinfortunistiche, sia destinato un lavoratore per turno».

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