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Le infezioni delle vie urinarie: ciò che dovremmo sapere oggi

Intervista al dott. Alberto Edefonti, nefrologo pediatra CDI

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) si manifestano nel bambino con quadri clinici differenti, di cui i più frequenti sono rappresentati dalle IVU basse non febbrili (o cistiti) e dalle IVU alte febbrili (o pielonefriti acute). Esse costituiscono una parte non trascurabile dell’attività del pediatra di famiglia ed un problema clinico a volte complesso, in relazione alla eventuale scoperta di malformazioni dei reni e dell’apparato urinario ed alla presenza di danno renale cronico.

Questo breve e schematico aggiornamento tratterà principalmente delle IVU alte febbrili, in quanto la loro corretta diagnosi e trattamento è in grado di prevenire, almeno in parte, la comparsa o il peggioramento di un danno renale. Inoltre, esse sono state oggetto di recenti raccomandazioni, che hanno preso in esame la diagnosi, la terapia e il follow up delle IVU febbrili (Ammenti A, et al. :Updated Italian recommendations for the diagnosis, treatment and follow‐up of the first febrile urinary tract infection in young children. Acta Paed. 2019).

La diagnosi: i tre cardini fondamentali

I tre cardini necessari per la diagnosi di IVU sono costituiti dalla presenza di sintomi clinici caratteristici, da alterazioni specifiche dell’esame urine e dalla positività dell’urinocoltura.

  1. Per quanto concerne i sintomi, l’IVU alta del bambino è più facilmente diagnosticabile rispetto a quella del neonato e del lattante, in quanto, dopo gli iniziali sintomi di IVU bassa (pollachiuria, disuria, incontinenza urinaria), compaiono febbre > 38°, con o senza brividi, nausea, inappetenza, ma soprattutto dolore (o senso di pesantezza) riferito in sede lombare.
    Nel lattante i sintomi sono più aspecifici: oltre alla febbre alta, l’aspetto è sofferente, il colorito grigiastro, è presente irritabilità, seguita eventualmente da letargia, vomito o rigurgiti sono frequenti ed infine possono comparire segni eventuali di sepsi/shock
  2. L’esame urine è di fondamentale supporto alla diagnosi, in quanto serve sia per evidenziare nelle urine i segni di infiammazione, sempre presenti nelle IVU, sia per escludere i soggetti con falsa positività all’urinocoltura (sino al 60% se si utilizza sacchetto adesivo), in cui l’esame urine è normale.
    Il dipstick per l’esame urine è lo strumento più rapido che possiamo applicare in ambito ambulatoriale. Dobbiamo ricercare prima di tutto i leucociti, tramite l’esterasi leucocitaria, ed i nitriti. Se entrambi sono positivi, la probabilità di diagnosi di IVU è molto elevata. Si deve quindi eseguire urinocoltura con modalità sterile ed iniziare terapia antibiotica empirica, in attesa di avere il risultato dell’urinocoltura con relativo antibiogramma. Se è presente esterasi leucocitaria positiva, ma nitriti negativi, la diagnosi è probabile e si deve ancora procedere come sopra. Se entrambi i parametri sono negativi, la diagnosi di IVU è improbabile ed occorre cercare altre cause per i disturbi che il bambino accusa.
  3. L’urinocoltura rappresenta il criterio necessario per la diagnosi di IVU. Conseguentemente, per porre diagnosi di IVU non sono sufficienti i sintomi o un esame delle urine alterato  L’urinocoltura serve quindi, nel sospetto di una IVU bassa, per escludere altre cause di sintomi disurici, come ad esempio una vulvite o disturbi dello svuotamento vescicale o una cristalluria. Serve inoltre, nel sospetto di una IVU alta, per escludere altre malattie febbrili, batteriche o virali. Infine, diviene indispensabile nel caso di ritardata o mancata risposta alla terapia antibiotica empirica.

In ambito ambulatoriale, le sopracitate raccomandazioni di pratica clinica consigliano di eseguire l’ urinocoltura, come prima scelta, con il metodo del mitto intermedio, sia nei bambini, che sono in grado di eseguire minzione a comando, sia nei neonati e lattanti, con adatta metodologia di stimolazione della minzione. In entrambi i casi è necessaria un’accurata pulizia dei genitali con disinfettanti a base di cloro. Non viene più raccomandata, e questa è un’importante novità,  la raccolta urine per l’urinocoltura con il sacchetto adesivo applicato ai genitali, per il rischio elevato di contaminazione batterica.

In ambito ospedaliero, la prima scelta è invece rappresentata dal cateterismo vescicale, soprattutto nelle IVU complicate e nei casi con precedenti urinocolture dubbie.

Infine, si confermano come necessarie per la diagnosi di IVU più di 100.000 colonie di un unico germe per le urinocolture eseguite con mitto intermedio, mentre sono sufficienti 10.000 colonie, sempre di un unico germe, per quelle eseguite con cateterismo.

La terapia

E’ essenziale per il pediatra di famiglia valutare innanzitutto se sono presenti i criteri per una ospedalizzazione del piccolo paziente. Essi sono rappresentati non solo da stato di disidratazione e vomito persistente, o ancor più da segni sospetti di sepsi, particolarmente nell’età neonatale e nel lattante, ma anche da probabile non compliance familiare e da persistenza di febbre dopo 3 giorni di terapia antibiotica empirica.

Alcuni studi randomizzati hanno dimostrato in questi ultimi anni che la precocità di inizio dell’antibiotico-terapia, almeno nei limiti dei 3-4 giorni dall’inizio della febbre, non è fondamentale per evitare la comparsa di cicatrici renali e che la via parenterale di somministrazione dell’antibiotico non è più efficace della via orale nel determinare la durata della febbre, la comparsa di cicatrici renali e l’eventuale recidiva di IVU febbrile. Questi dati consentono al pediatra di avere tutto il tempo necessario per una corretta diagnosi.

Bisogna però ricordare che dobbiamo evitare di utilizzare antibiotici che non raggiungano adeguate concentrazioni nel tessuto renale, quali ad esempio fosfomicina e nitrofurantoina o antibiotici per i quali è dimostrata una elevata resistenza  locale.

I criteri sopra descritti per l’ospedalizzazione lasciano ampio spazio alla cura delle pielonefriti in ambito ambulatoriale.

Nel caso di IVU febbrile non complicata, vale a dire in presenza di buone condizioni generali ed assenza di vomito, possiamo intervenire con un antibiotico per via orale, come prima scelta amoxicillina-clavulanato, come seconda scelta cefalosporina di terza generazione, entrambi somministrati per 10 giorni.

Nel casi di IVU febbrile complicata, cioè in presenza di condizioni generali compromesse e di vomito persistente, la scelta sarà la somministrazione, generalmente in ambito ospedaliero, di antibiotico per via parenterale, essendo consigliata come prima scelta ampicillina + sulbactam, come seconda scelta cefotaxime o ceftriaxone. Non appena il piccolo paziente è stabilizzato, si può passare ad antibiotico per via orale, per una durata totale del trattamento di 10 giorni se pielonefrite, 14 giorni se sepsi.

Il follow up

Le raccomandazioni sopra citate hanno registrato importanti cambiamenti nel follow up del piccolo paziente che ha presentato un’IVU febbrile, sia per quanto riguarda gli esami strumentali da eseguire, che per le indicazioni alla profilassi antibiotica.

L’ecografia dell’apparato urinario rappresenta da sempre il primo esame da prescrivere, per escludere malformazioni congenite del rene e delle vie urinarie (incluso il reflusso vescico-ureterale), la cui presenza costituisce sempre motivo di riferimento ad uno specialista nefrologo pediatra.  A differenza del passato, in caso di IVU non complicata, si preferisce oggi eseguirla dopo 2-4 settimane dall’episodio acuto, ricordando che l’ecografia ha un basso valore predittivo nei confronti del reflusso vescico-ureterale.

La cistografia, in una delle sue tre modalità, con mezzo di contesto iodato, con radioisotopo o con mezzo di contrasto ultrasonico, è indicata già dalla prima IVU febbrile se il germe responsabile è diverso dall’E. Coli e/o se sono presenti alcune anomalie all’ecografia renale. In dettaglio, esse sono rappresentate da un’ipoplasia renale mono o bilaterale, una iperecogenicità renale, una dilatazione pelvi-caliciale almeno di 2°grado, una dilatazione del o degli ureteri, un ispessimento della parete della pelvi ed alterazioni vescicali, quali diverticoli o ureterocele. Infine, la cistografia è sempre indicata in presenza di una seconda IVU febbrile.

Le indicazioni alla profilassi antibiotica sono state oggetto di ampia discussione negli ultimi anni. E’ ormai ben assodato che essa non debba essere prescritta di routine, ma solo in alcune circostanze, e precisamente fino ad esecuzione di cistografia minzionale, nel caso questa trovi indicazione, in presenza di reflusso vescico-ureterale di 4°-5° grado e di megauretere ostruttivo ed infine in caso di IVU febbrili recidivanti.

Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che non esiste alcuna prova di efficacia dei probiotici e degli estratti di mirtillo utilizzati nella prevenzione delle IVU.

Anche l’utilizzo dell’urinocoltura mensile di routine per monitorare l’eventuale comparsa di ulteriori IVU dopo il primo episodio è stato ampiamente ridimensionato. Attualmente l’urinocoltura viene raccomandata nel follow up solo in presenza di sintomi evocativi di IVU, dopo riscontro di positività del dipstick per leucociti e nitriti.

Conclusioni

Numerosi studi, pubblicati negli ultimi anni, hanno portato a modificare il nostro atteggiamento diagnostico, prognostico e terapeutico nei confronti dei bambini con IVU febbrili, nella direzione di una minore invasività diagnostica e terapeutica, sia medica che chirurgica. Di ciò può beneficiare oggi la maggioranza dei bambini che hanno presentato IVU febbrile.

Per contro, è emersa anche l’importanza di identificare con precisione i soggetti con alterazioni strutturali dei reni e a rischio di  peggiorare il danno renale cronico, la cui prima manifestazione è spesso un’ IVU febbrile.  Per tali piccoli pazienti è necessario il riferimento allo specialista nefrologo pediatra.

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