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La Cassazione Penale sull’inosservanza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni alla gestione di rifiuti

Per la Cassazione Penale l’inosservanza delle prescrizioni contenute, o richiamate, nelle autorizzazioni per l’attività di gestione di rifiuti speciali, non pericolosi, costituisce reato, anche se non lede in concreto il bene giuridico tutelato.

Il caso riguarda la condanna per attività di gestione di rifiuti speciali, non pericolosi, non autorizzata (art. 256 D.Lgs 152/2006), a causa dell’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’atto autorizzativo: la recinzione metallica sovrastante i muretti su due lati della recinzione del deposito rifiuti era stata realizzata in modo non conforme rispetto a quanto stabilito dalla pubblica amministrazione.

I condannati sono ricorsi per Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che nella sentenza di condanna non fosse stata effettuata una puntuale indagine di confronto tra il contenuto dell’autorizzazione rilasciata e le inottemperanze riscontrate, lamentando inoltre di aver trasmesso il progetto, che riportava la situazione di fatto accertata, al dipartimento competente, che non aveva sollevato questioni sulla recinzione.

La Terza Sezione della Cassazione Penale, con sentenza n. 43118 depositata il 21 ottobre 2019, ha dichiarato il ricorso inammissibile, osservando preliminarmente che “la contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, prevista e punita dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 4, è reato formale di pericolo, il quale si configura in caso di violazione delle prescrizioni imposte per l’attività autorizzata di gestione di rifiuti, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a ledere in concreto il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice […]. In [precedente giurisprudenza] si è chiarito che, con riferimento alla natura del reato, trattasi di reato formale, la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni. Inoltre, la natura di reato di mera condotta fa sì che, per l’integrazione della fattispecie, non assuma rilievo l’idoneità della condotta medesima a recare concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione. In altra risalente pronuncia […], si è chiarito che, nel reato in esame, lo scopo del legislatore è quello di apprestare una difesa anticipata del bene giuridico protetto, facendo sì che alcune condotte eminentemente formali e non collegate alla tutela di un interesse esplicitamente indicato e neppure immediatamente percepibile siano scrupolosamente osservate, con la conseguenza che la loro violazione viene punita indipendentemente da qualsiasi accertamento di una qualsiasi lesione concreta e da qualsiasi concreto interesse”.

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