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La diagnosi delle infezioni delle vie urinarie (IVU) in età pediatrica

Dopo le infezioni respiratorie, le IVU sono le infezioni batteriche più frequenti in età pediatrica. Intervista al dott. Alberto Edefonti, nefrologo pediatra CDI

Le Infezioni delle vie Urinarie (IVU) del bambino rappresentano un problema clinico frequente, ma a volte complesso, e costituiscono una parte non trascurabile dell’attività del Pediatra di famiglia e dello specialista Nefrologo pediatra.

Le infezioni batteriche basse e alte

Nella grande maggioranza dei casi, le IVU sono causate da batteri patogeni e si manifestano nel bambino con quadri clinici differenti: i più frequenti sono rappresentati dalle “infezioni basse”, non febbrili, che si limitano alla cosiddetta “cistite”; quelli meno frequenti, ma più gravi, sono le “infezioni alte”, febbrili, che coinvolgono i reni e sono definite come “pielonefriti”; infine, le IVU recidivanti sono le condizioni spesso più difficili da trattare.

L’incidenza

Le IVU febbrili, le più importanti dal punto di vista clinico, hanno la più alta incidenza nel corso del primo anno di vita, senza significative differenze tra maschi e femmine (7.7 rispetto a 9.7/1000 bambini/anno). Negli anni successivi l’incidenza si riduce progressivamente e il rapporto tra maschi e femmine diviene 1/10. La minor lunghezza dell’uretra nelle femmine rende ragione di questa differenza epidemiologica.

Molte infezioni, virali o batteriche, sono responsabili di febbre nei bambini, ma solo una parte di esse vede come causa le IVU alte, cioè localizzate ai reni: nei primi 2 anni di vita il 7% degli episodi di febbre senza segni o sintomi di localizzazione è causato da una IVU alta. In ragione di tale prevalenza, una IVU va quindi sempre tenuta in considerazione tra le cause di febbre nel bambino.

I cardini della diagnosi

In tutti i casi di IVU, i cardini, tutti necessari, su cui si deve basare la diagnosi di IVU sono tre:

  1. Il primo è la presenza di sintomi urinari, quali uno  stimolo frequente ad urinare e bruciore alla minzione, associati spesso ad urine maleodoranti. Questo è vero nel bambino grandicello, ma va notato che il neonato ed il lattante non sono in grado di riferire tali sintomi, il che rende più difficile la diagnosi.
    Inoltre, in tutte le età, in caso di localizzazione dell’infezione al rene, è presente febbre elevata (>38.5°), volte con brividi, e compromissione dello stato generale: il lattante, o il bambino, “sta male”, non si alimenta, è poco attivo e il colorito della cute è pallido-grigiastro.
    I disturbi della minzione sopra descritti non sono tuttavia specifici per IVU, ma sono presenti anche in altre condizioni, come ad esempio le vulviti (“infiammazione dei genitali esterni” nella femmina), oppure quando le urine sono sovra-sature in cristalli di calcio o di acido urico, o nei disturbi della funzione di svuotamento vescicale. Per questo motivo, sono necessari per la diagnosi gli altri due cardini, descritti qui di seguito.
  2. Il secondo cardine è rappresentato da alterazioni specifiche dell’esame urine: la positività di esterasi leucocitaria e di nitriti, allo stick o all’esame urine, è considerata nelle linee guida molto indicativa di IVU e tale da consigliare l’esecuzione dell’urinocoltura, in quanto espressione di un fenomeno infiammatorio localizzato nell’apparato urinario. 
    Inoltre, nel caso di infezione localizzata al rene (pielonefrite), si aggiungono i segni di infiammazione generalizzata, quali una Proteina C reattiva elevata ed aumento del globuli bianchi nel sangue, in particolare dei neutrofili.
    La disponibilità degli stick urine nello studio del pediatra o in PS ospedaliero ha certamente facilitato la diagnosi di IVU, ma la presenza di segni di infiammazione all’apparato urinario non è ancora sufficiente per porre diagnosi di IVU, in quanto essi possono essere presenti anche in altre malattie. Per questo è necessario avvalersi di un ultimo supporto diagnostico, l’urinocoltura.
  3. Il terzo cardine della diagnosi è infatti la positività dell’urinocoltura, che deve contemplare l’isolamento di un solo germe ed un numero di colonie variabile da 10.000 a 100.000 a seconda del metodo di raccolta delle urine utilizzato, che, ricordiamo, deve essere comunque sempre sterile.
L’urinocoltura: i falsi positivi

Uno dei problemi maggiori dell’urinocoltura è quello dei falsi positivi, per contaminazione delle urine emesse da parte di germi presenti esternamente all’apparato urinario, dovuta essenzialmente alla modalità non corretta (cioè non sterile) di raccolta del campione urine.

Le recenti linee guida italiane sulle IVU febbrili raccomandano, tra l’altro, di non utilizzare il sacchetto per la raccolta urine, ma di procedere, anche nel lattante, con la raccolta tramite “mitto intermedio”, dopo accurata disinfezione dei genitali esterni, utilizzando in questo caso gli adatti accorgimenti per stimolare la minzione. Il cosiddetto mitto intermedio consiste nella raccolta di un campione urine in un recipiente sterile mentre il bambino fa pipì, escludendo la prima urina emessa.

Sempre secondo le linee guida, l’urinocoltura con catetere è da riservare all’ambiente ospedaliero, nel dubbio persistente di una falsa positività.

Antibiotigramma e antibiotico: quando il problema è il tempo di refertazione

Un secondo problema è il lungo tempo di attesa (di solito alcuni giorni) prima di ricevere il risultato dell’urinocoltura, spesso dipendente dai tempi dell’antibiogramma. Per questo motivo, in presenza di sintomi e di positività sia per esterasi leucocitaria che per nitriti, è consigliabile iniziare la terapia antibiotica con un antibiotico ad ampio spettro, anche senza ancora conoscere il germe responsabile, ed adattare eventualmente in seguito la terapia, in relazione all’esito dell’antibiogramma.

Da quanto abbiamo sopra illustrato, il rischio di porre diagnosi improprie di IVU è oggi probabilmente più alto rispetto a quello di una mancata diagnosi, come avveniva invece in anni passati. Ciò comporta un impiego inutile e spesso dannoso di antibiotici ed un ricorso eccessivo ad esami strumentali.

D’altra parte una corretta diagnosi e un trattamento adeguato delle IVU alte febbrili è necessario per prevenire la comparsa o l’accentuazione di un danno renale cronico nei bambini con nefro-uropatie congenite.

Il raggiungimento di questo a volte difficile equilibrio rappresenta uno degli obiettivi principali del lavoro del nefrologo pediatra.

Il laboratorio CDI

La consultazione dello specialista presso il CDI permette di indirizzare da subito e correttamente la diagnosi e la cura delle varie forme di IVU.

Normalmente i laboratori comunicano l’esito dell’urinocoltura 3-6 giorni dopo la consegna del campione, ma per le patologie infettive la tempestività delle scelte terapeutiche riveste notevole importanza, soprattutto in età pediatrica.
Già il giorno lavorativo successivo alla consegna del campione di urine, CDI comunica telefonicamente ai genitori il primo esito disponibile, se questo è positivo.
Vengono comunicati: la positività dell’esame, il tipo di germe (gram + o gram -) e la carica batterica. 
A 3-6 giorni è poi disponibile il risultato definitivo, con antibiogramma e identificazione del germe.
L’assenza di comunicazione telefonica corrisponde ad un esito negativo, che è formalmente disponibile a 3-6 giorni.

La raccolta del campione a domicilio

Sottolineiamo che il metodo di raccolta del campione a domicilio riveste una particolare importanza per l’attendibilità dell’esame. Secondo le linee guida della Società Italiana di Nefrologia Pediatrica, la raccolta con “sacchetto” è sconsigliata, in quanto espone a un alto rischio di contaminazione da parte di batteri presenti nelle zone genitali e quindi di falsa positività dell’esame. 
Il metodo consigliato è il “getto intermedio”, anche nei neonati e lattanti, con le adatte modalità di stimolazione della minzione. 

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