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Genetista e paziente: occorre prendersi cura anche delle emozioni del medico per offrire al paziente un servizio migliore

Al via uno studio esplorativo sui vissuti emotivi sperimentati dai genetisti d’equipe nel corso della consulenza onco-genetica. Intervista alla dott.ssa Elena Mandorino, psicologa CDI

La consulenza genetica oncologica rappresenta uno spazio in cui la relazione tra genetista e paziente assume una connotazione complessa e peculiare, per la condivisione di esperienze che implicano sofferenza e incertezza. Le persone gravemente malate sono emotivamente vulnerabili durante il percorso che caratterizza la malattia oncologica. Allo stesso tempo, i medici rispondono ai bisogni e alle emozioni di tali pazienti con emozioni proprie, le quali possono riflettere: il bisogno di salvare il paziente, un senso di fallimento e frustrazione quando la malattia del paziente progredisce, sentimenti di impotenza nei confronti della malattia e delle perdite ad essa associate, dolore, paura di ammalarsi. Queste emozioni possono influenzare sia la qualità delle cure che il senso di benessere del medico, poiché le emozioni non esplorate possono anche portare a disagio, disimpegno, esaurimento e scarso giudizio del medico. La ricerca attuale sulla relazione medico-paziente, tuttavia, si concentra principalmente sul paziente, rimuovendo così l’esperienza emotiva del genetista dall’equazione della relazione di cura.

Presso il Reparto di Genetica Molecolare e Citogenetica del CDI, è stato avviato uno studio esplorativo allo scopo di analizzare la consulenza genetica da un diverso punto di vista, ovvero quello di indagare i vissuti emotivi sperimentati dai genetisti d’equipe nel corso della consulenza onco-genetica.  L’interesse di questo studio è stato quello di individuare i bisogni del genetista in ambito oncogenetico al fine di definire interventi mirati nell’ambito della medical education, proprio perché adeguate conoscenze tecniche specifiche e capacità relazionali sono necessarie per la realizzazione ottimale della consulenza onco-genetica; ma più in generale per poter contribuire positivamente a creare un clima motivante, un’atmosfera di collaborazione e di scambio. 
Una buona comunicazione medico-paziente incide, infatti, anche sugli specialisti genetisti. Lo stress legato a tale tipo di consulenza può persistere nel genetista anche per i giorni successivi, arrivando persino ad interferire con le capacità di rilevare adeguatamente i bisogni del paziente e favorendo lo sviluppo di burn-out.
I nostri risultati preliminari suggeriscono che l’esperienza dei genetisti, nella consulenza oncogenetica, sia una condizione mentalmente, fisicamente e professionalmente impegnativa.  Tra i più comuni sentimenti sperimentati dagli specialisti ed emersi dall’analisi dei dati, sono stati rilevati la paura della morte, l’impotenza e la mancanza di controllo sulla sofferenza manifestata dal paziente. Si potrebbe sostenere che ciò riflette il ruolo dello specialista nel comunicare la diagnosi di alto rischio di  sviluppare una neoplasia gene-correlata, a fornire empatia ai pazienti in situazioni difficili, quando lo stress delle circostanze è aggravato dalla mancanza di chiarezza soprattutto per la presenza di varianti di significato sconosciuto e sull’impatto ereditario sul piano familiare del probando.

In conclusione, la progettazione e la conduzione di programmi educativi potrebbero svolgere un ruolo importante per fornire una migliore assistenza ai pazienti oncologici, un buon funzionamento del team di assistenza e un basso livello di disagio lavoro-correlato. In futuro, esplorare gli effetti della formazione medica sulle capacità di comunicazione del medico e sulla soddisfazione del paziente, sarà una buona opportunità per valutare l’efficacia di questo approccio interdisciplinare.

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