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Esplode una caffettiera, condannato il datore di lavoro

La Cassazione civile affronta il caso di una richiesta di risarcimento per i danni provocati da una caffettiera esplosa durante la preparazione del caffè, ad opera di soggetti non identificati, all’interno del locale utilizzato dal personale ausiliario di una scuola.

Il caso riguarda la condanna del Ministero dell’Istruzione al risarcimento dei danni patiti da un’operatrice scolastica mentre prestava servizio presso una scuola elementare, colpita al volto da una caffettiera esplosa durante la preparazione del caffè, ad opera di soggetti non identificati, all’interno del locale utilizzato dal personale ausiliario. Il giudice d’appello aveva ritenuto che l’infortunio fosse avvenuto in occasione di lavoro, in quanto l’operatrice era intenta a svolgere le proprie mansioni e non alla preparazione del caffè. Il Ministero non aveva dimostrato di avere apprestato tutte le misure necessarie ad evitare il danno giacché, al contrario, dall’istruttoria era emerso che la preparazione del caffè all’interno del locale destinato agli operatori scolastici era abituale ed era stata consentita dal datore di lavoro, il quale non aveva vigilato, come era suo onere, per impedire che nell’ambiente di lavoro si realizzassero situazioni pericolose per i lavoratori.

Il Ministero dell’Istruzione ha proposto ricorso per cassazione ritenendo, fra l’altro, che la preparazione del caffè non costituisce un’attività da espletare all’interno dell’istituto scolastico e che, dunque, l’infortunata avrebbe dovuto impedire che il fornello elettrico e la caffettiera venissero utilizzati impropriamente nel locale a lei assegnato.

La Sezione lavoro della Cassazione civile, con sentenza n. 23146 del 22 ottobre 2020, ha confermato però la condanna, ritenendo che «la caffettiera esplosa era stata posta sul fornello non dalla vittima bensì da terzi non identificati, ed ha anche ritenuto provato che l’attività pericolosa si svolgeva in modo sistematico all’interno dell’istituto, sicché, evidentemente, il datore di lavoro, che non l’aveva impedita, era venuto meno al suo dovere di vigilare e di emanare specifiche direttive volte a prevenire il verificarsi di eventi dannosi. La ricostruzione dei fatti che si legge nella sentenza impugnata porta ad escludere alla radice ogni rilevanza delle circostanze sulle quali il Ministero fa leva per sostenere una colpa concorrente della vittima, perché sebbene il legislatore, in tema di sicurezza, abbia posto precisi obblighi anche a carico del lavoratore (art. 5 del d.lgs. n. 626/1994 poi trasfuso nell’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008), impegnandolo ad osservare le misure precauzionali ed a segnalare eventuali condizioni di pericolo, tuttavia non ha certo inteso attenuare, attraverso la previsione di detto obbligo di collaborazione, il debito di sicurezza che grava sul datore, nella specie non adempiuto perché, ove il dirigente avesse vigilato come era suo onere ed impartito le opportune direttive, l’evento lesivo non si sarebbe verificato».

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