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Dovere di vigilanza: il datore di lavoro poteva non sapere

Secondo la Cassazione penale per condannare un datore di lavoro è necessaria la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, delle prassi incaute che hanno determinato l’infortunio

Il caso riguarda l’infortunio mortale di un operaio durante il lavoro a un macchinario per il trattamento di fogli metallici che, inceppatosi, era stato sbloccato dal lavoratore accedendo attraverso un cancelletto realizzato abusivamente, invece che per l’apposito varco protetto munito di fotocellule che avrebbero bloccato il funzionamento della macchina. Durante l’operazione di sblocco il macchinario riprendeva improvvisamente a funzionare, causando l’infortunio mortale. La Corte d’Appello di Bologna aveva condannato il datore di lavoro ritenendo che l’accesso abusivo fosse stato realizzato dell’impresa allo scopo di eseguire i lavori in modo più rapido e meno costoso, e conseguentemente anche la società per responsabilità amministrativa da reato ai sensi dell’art. 25-septies, comma 2, del D.Lgs. 231/2001.

Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione contestando, fra l’altro, che non fosse stata in alcun modo comunicata né a lui né alla direzione aziendale la presenza del cancelletto abusivo, il quale peraltro era camuffato dalla presenza di bulloni verniciati, e quindi praticamente invisibile.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 36778 del 21 dicembre 2020, ha accolto il ricorso, ritenendo che «Nulla risulta accertato in ordine a chi avrebbe disposto o eseguito il varco. Nulla risulta accertato, inoltre, a proposito del fatto che vi fosse una prassi illegittima all’interno dello stabilimento, costituita dall’utilizzo più o meno ricorrente di tale accesso per entrare nell’area pericolosa […] È, allora, del tutto pertinente il richiamo del ricorrente all’arresto giurisprudenziale in base al quale non può essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute, neppure sul piano inferenziale (ossia sulla base di una finalizzazione di tali prassi a una maggiore produttività), dalle quali sia scaturito l’evento […]. Del resto in termini affatto analoghi si è espressa la giurisprudenza di legittimità in altro, recente arresto, in base al quale, in tema di infortuni sul lavoro, in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi […]».

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