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Danno parentale da infortunio: la Cassazione fissa il principio

Il risarcimento del danno morale ed esistenziale ai parenti di un lavoratore deceduto per infortunio è dovuto fino a prova contraria: l’indifferenza dei parenti deve essere provata, non può essere presunta sulla base della mancata convivenza o della residenza all’estero.

Dopo la morte per infortunio di un operaio edile, la madre e i fratelli della vittima hanno citato in giudizio l’azienda per cui lavorava chiedendo il risarcimento del danno morale ed esistenziale subito per la perdita del congiunto.

Prima il Tribunale e poi la Corte d’Appello hanno respinto la domanda, sostenendo che il cosiddetto danno da lesione parentale non fosse sempre liquidabile, ma richiedesse precise allegazioni e prove che nel caso specifico non erano state fornite: in particolare la Corte d’Appello ha sottolineato il fatto che tra i ricorrenti, residenti in Tunisia, e il congiunto, deceduto in Italia, non vi fosse più alcuna convivenza, ma una lontananza protrattasi per molti anni senza alcun tipo di contatto con il defunto, significativa del venir meno di qualsiasi legame affettivo.

Contro la Sentenza i congiunti hanno proposto ricorso per cassazione, la quale, con Sentenza della sezione Lavoro n. 29784 del 19 novembre 2018, ha dato loro ragione, affermando che “la morte di un prossimo congiunto costituisce di per sé un fatto noto dal quale il giudice può desumere […] che i familiari stretti dello scomparso […] abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un’alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicché nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l’inesistenza di tali pregiudizi; una prova del genere non può, evidentemente, consistere, nel caso di detto legame parentale stretto, nella mera mancanza di convivenza […]; anche la semplice lontananza non è una circostanza di per sé idonea a far presumere l’indifferenza dei familiari – madre, padre, fratelli – alla morte del congiunto – figlio, fratello – trattandosi di elemento ‘neutro’, in quanto interpretabile anche quale rafforzativo dei vincoli affettivi”.

Quindi, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, “non spettava ai ricorrenti (madre e fratelli della vittima) provare di avere sofferto per la morte del rispettivo figlio e fratello, ma sarebbe stato onere [dell’azienda edile] provare a mezzo di precise e concordanti circostanze, che, nonostante il rapporto di parentela, la morte [del congiunto] lasciò indifferente la madre ed i fratelli della vittima”.

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