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COVID-19 e apparato cardiovascolare: cosa abbiamo imparato dopo due anni di pandemia

Intervista al dott. Riccardo Bigi, Coordinatore Cardiologia CDI.

La sindrome respiratoria acuta da coronavirus 2 (SARS-CoV-2) alla base della cosiddetta malattia da coronavirus 2019 (Covid-19) ha raggiunto livelli pandemici nel marzo 2020 causando ripetute ondate di focolai in tutto il mondo. Pur avendo carattere di patologia sistemica, Covid-19 presenta implicazioni importanti per l’apparato cardiovascolare sia nella sua fase acuta che nel periodo successivo alla guarigione clinica. Le proporzioni bibliche della pandemia e la potenziale severità del suo coinvolgimento cardiovascolare hanno generato un crescente allarme nella popolazione generale ed ispirato una messe di articoli scientifici e divulgativi di differente tenore. Tutto ciò, ben lungi dal fornire indicazioni e messaggi di facile interpretazione, è stato spesso fonte di confusione o di allarmismo. E’ perciò particolarmente utile tentare di riassumere lo stato attuale delle conoscenze in modo da rispondere ai quesiti e alle incertezze maggiormente ricorrenti.

Che impatto hanno le patologie cardiovascolari pre-esistenti su Covid-19?

  • Le comorbidità cardiovascolari sono comuni nei pazienti colpiti da Covid-19.
  • La loro presenza si associa a maggiore severità del decorso e a più alta mortalità.
  • Un effetto analogo su decorso ed esito della malattia è condizionato dalla presenza di fattori di rischio cardiovascolare maggiori (familiarità, diabete, ipertensione, fumo, dislipidemia, obesità) e dall’età avanzata.

Quali sono le categorie di cardiopatici a maggior rischio di complicanze gravi in caso di Covid-19?

  • I soggetti con note comorbidità cardiovascolari presentano un maggior rischio di decorso sfavorevole e di complicanze gravi in caso di Covid-19. Indipendentemente dalla causa di base, la presenza di insufficienza cardiaca cronica rappresenta il motivo principale di ospedalizzazione, necessità di ventilazione assistita e mortalità e richiede la massima attenzione alle necessarie misure di sorveglianza e follow-up.
  • Anche i pazienti affetti da patologie valvolari maggiori, specialmente se complicate da importante danno della funzione di pompa del cuore o da ipertensione polmonare, rappresentano un sottogruppo a rischio aumentato.
  • La presenza di patologia aritmica e di malattia coronarica cronica non rappresentano condizioni di rischio aumentato in caso di Covid-19 a decorso extra-ospedaliero, mentre la loro comparsa acuta durante il ricovero costituisce un marker prognostico sfavorevole. La problematica relativa a queste patologie è connessa, di contro, alla difficoltà e al differimento temporale delle procedure interventistiche, necessarie per il loro trattamento, causati dalle condizioni anomale di logistica imposte dalla pandemia

Qual è il rapporto fra Covid-19 ed ipertensione arteriosa?

  • Alla luce delle conoscenze più recenti, non esistono evidenze a supporto del concetto che l’ipertensione arteriosa rappresenti di per sé un fattore di rischio indipendente di complicanze maggiori o di aumentata mortalità da Covid-19. In effetti, le iniziali segnalazioni provenivano da studi non calibrati per escludere il ruolo confondente di altre variabili fondamentali di rischio – quali età, obesità, diabete – spesso aggregate epidemiologicamente all’ipertensione.
  • Parimenti, in contrasto con iniziali presupposti teorici e alla luce dei risultati degli studi clinici più recenti, è possibile attualmente escludere che il trattamento in corso con alcune categorie di farmaci antipertensivi di largo impiego come ACE-inibitori o bloccanti dei recettori per l’angiotensina (sartani) si accompagni ad un rischio maggiore di decorso sfavorevole della malattia in confronto ad altre categorie di antipertensivi, il che supporta il suggerimento a non interromperne l’assunzione.
  • E’, di contro, rilevante sottolineare che alcuni farmaci antipertensivi, quali i diuretici, potrebbero predisporre ad una riduzione dei valori di potassio nel sangue già di per sé frequente nelle forme gravi di Covid-19 e potenzialmente causa di aritmie cardiache anche severe.

In che modo Covid-19 coinvolge l’apparato cardiovascolare?

Il coinvolgimento cardiovascolare da Covid-19 può realizzarsi, isolatamente o sinergicamente, in modi differenti:

  • per effetto diretto o indiretto (infiammazione, fibrosi) sulle cellule del muscolo cardiaco chiamate miocardiociti (effetto potenzialmente inibito dal farmaco antivirale remdesivir).
  • per alterazione del sistema di regolazione dell’attività cellulare chiamato ACE/ACE2 già compromesso da alcune comorbidità come l’ipertensione.
  • secondariamente al grave danno della funzione polmonare con conseguente sovraccarico della funzione cardiaca potenzialmente fatale in caso di danno preesistente (insufficienza cardiaca).
  • per instabilizzazione di placche ateromasiche presenti sulle arterie coronarie mediata da attivazione del sistema immunitario che può condurre all’insorgere di eventi coronarici acuti come infarto miocardico, aritmie minacciose o morte improvvisa.
  • a causa di eventi tromboembolici, particolarmente gravi nel distretto polmonare e cerebrale.

Quali sono e cosa comportano le manifestazioni cliniche di Covid-19?

  • Le manifestazioni cliniche gravi di Covid-19 non si discostano da quelle osservate in corso di precedenti infezioni da parte di altri coronavirus. Si tratta essenzialmente di ipotensione, danno miocardico, aritmie maggiori (fibrillazione atriale, aritmie ventricolari maligne), miocarditi e morte improvvisa. Esistono, inoltre, evidenze che la malattia in fase acuta comporti un aumentato rischio di infarto miocardico ed ictus.
  • La presenza di manifestazioni cardiovascolari si associa ad un decorso più complesso e a prognosi peggiore.
  • Il coinvolgimento cardiovascolare nel lungo termine non è ancora sufficientemente chiaro e necessita di periodi prolungati di follow-up.

Quali sintomi suggeriscono un coinvolgimento cardiovascolare in corso di Covid-19?

  • Dolore o senso di costrizione toracica, generalmente diffusi o mal localizzati, tosse e mancanza di respiro sono sintomi prevalenti durante la fase acuta della malattia. Pur essendo nella maggior parte dei casi causati dall’esteso danno polmonare, possono tuttavia mascherare l’esordio di un coinvolgimento cardiaco e necessitano di un’accurata diagnosi differenziale sia clinica che strumentale (ECG, biomarcatori di danno miocardico).
  • Anche la presenza di sintomi potenzialmente causati da aritmie cardiache clinicamente rilevanti (cardiopalmo, ipotensione, sincope) può essere sottovalutata per la sovrapposizione del quadro sintomatologico generale, ma di solito si osserva nei pazienti più compromessi. Diversamente, l’incidenza di aritmie gravi è modesta nella fase di stabilità.
  • Se da un lato, perciò, la diagnosi accertata di Covid-19 non deve precludere la ricerca sistematica di un coinvolgimento cardiovascolare, parimenti talune manifestazioni cliniche frequenti della malattia possono simularlo rendendo indispensabile una accurata procedura di diagnosi differenziale.

Quali indagini strumentali guidano la valutazione cardiovascolare in corso di Covid-19?

  • Elettrocardiogramma, biomarcatori di danno miocardico ed ecocardiografia (transtoracica e/o transesofagea) rappresentano i cardini di una valutazione di base sia in fase acuta che post-acuta.
  • Ad essi potranno essere affiancati, sulla base dell’evoluzione clinica e per scopi specifici, l’elettrocardiografia da sforzo o il test cardiopolmonare, la tomografia computerizzata del cuore, dei polmoni e delle arterie coronarie. In casi particolari, potranno essere utilizzate le tecniche di cardiologia nucleare, la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica nucleare (RMN).

Miocardite e pericardite da Covid-19

  • La miocardite acuta da patologia infettiva virale di qualsiasi origine consiste nella presenza di infiltrati infiammatori e danno miocardico innescati dalla presenza del virus.
  • L’insorgenza di miocardite, anche in assenza di coinvolgimento polmonare, è stata dimostrata in corso di Covid-19 con espressioni cliniche variabili da lievi a rapidamente letali (miocardite fulminante). Una sua insorgenza va sospettata in caso di dolore toracico e segni acuti di scompenso cardiaco in malati senza patologia cardiovascolare preesistente e senza segni di infarto miocardico acuto. La valutazione strumentale con elettro- ed ecocardiogramma e quella bioumorale confermeranno la diagnosi.
  • Le segnalazioni di pericardite acuta, con o senza accumulo di liquido (versamento), sono relativamente limitate e riguardano in genere una complicazione ulteriore nel decorso della miocardite da Covid-19.

L’enigma Long Covid

Il cosiddetto Long Covid (tecnicamente PASC, Post Acute Sequelae of Covid-19) è una sindrome post-virale caratterizzata dalla persistenza di sintomi, anche invalidanti, persistenti per parecchie settimane in soggetti guariti dalla malattia e negativi al tampone. Più correttamente, si parla di:

Covid-19 sintomatico subacuto o persistente se i sintomi si presentano tra la quarta e la dodicesima settimana
Covid-19 cronico o Sindrome post-Covid-19 o più semplicemente di Long Covid se i sintomi si presentano anche dopo la dodicesima settimana.

  • I sintomi del Long Covid possono interessare diversi organi. Quello sicuramente più diffuso è la stanchezza, seguito dalla perdita del gusto e dell’olfatto e da problemi di memoria e di concentrazione (sindrome da stanchezza cronica o encefalomielite mialgica). In aggiunta, possono manifestarsi, isolatamente o aggregati, numerosi altri sintomi, quali vertigini, cefalea, turbe del sonno, respiro corto, palpitazioni, disturbi dell’equilibrio, ansia, stress, disturbi gastrointestinali, sudorazione eccessiva, febbricola, eruzioni cutanee, perdita di capelli, distrofia ungueale, dolori muscolari.
  • La durata dei sintomi è molto variabile: uno studio condotto su oltre 4000 pazienti, ha evidenziato una persistenza di sintomi per oltre 4 settimane nel 13%, per oltre 8 settimane nel 5% e per oltre 12 settimane nel 2% dei casi. Questa percentuale è inferiore a quella ottenuta in altri studi osservazionali, nei quali però la popolazione osservata era quella ricoverata o altrimenti seguita in ambito specialistico. In particolare, uno studio statunitense ha rilevato che solo il 65% delle persone è tornato al precedente livello di salute dopo tre settimane da un test positivo mentre secondo l’Office for National Statistics circa una persona su cinque positive a Covid-19 sviluppa dei sintomi di durata ≥5 settimane.
  • Il Long Covid colpisce uomini e donne di ogni età, ma sono soprattutto le donne tra i 40 e 60 anni a soffrirne. Si è osservato anche qualche caso in età pediatrica ma, per il momento, non sembrano esserci differenze tra bambini e bambine

Le cause del Long Covid sono purtroppo altrettanto oscure quanto la sua definizione. Diversi meccanismi sono stati alternativamente invocati:

  • danno diretto provocato dal virus o dalla malattia
  • persistenza di particelle virali biologicamente attive in vari organi e tessuti
  • effetti sul e compromissione del sistema nervoso
  • reazione autoimmunitaria innescata dal virus con conseguente aggressione di diversi organi e tessuti
  • ruolo non definito degli ormoni sessuali

Quali sono i fattori che predispongono al Long Covid?

Le attuali conoscenze ancora incomplete e i dati delle osservazioni finora raccolte aiutano ad identificare alcuni fattori predisponenti all’insorgenza della sindrome: sesso femminile, età avanzata, sovrappeso e diabete tipo 2. Alcuni studi recentissimi, inoltre, attribuiscono un possibile ruolo di rilievo alla presenza di autoanticorpi, al livello ematico di RNA virale all’inizio dell’infezione, alla riattivazione del virus di Epstein-Barr, responsabile di una precedente mononucleosi, e ai bassi livelli di anticorpi IgM e IgG3 soprattutto se in soggetti asmatici.

Esiste una terapia per il Long Covid?

Sfortunatamente non esistono ad oggi terapie specifiche per curare i disturbi legati al Long Covid. Si è costretti a convivere con i sintomi fino alla loro regressione e cercare per quanto possibile di alleviarli rivolgendo in particolare l’attenzione ai fattori predisponenti. Interventi generici suggeriti dalla letteratura disponibile possono essere:

  • esercizi di riabilitazione fisica
  • diete alimentari per riprendere peso o massa muscolare o, al contrario, per perdere peso
  • supporto psicologico per coloro che presentano stress post-traumatico

La vaccinazione aiuta a prevenire i sintomi del Long Covid?

Non esistono risposte sicure e documentate a riguardo. I vaccini riducono fortemente i tassi di malattia grave e i decessi causati da Covid-19, ma non sono altrettanto efficaci nel prevenire la malattia, mentre la sindrome Long Covid si può manifestare anche dopo un contagio in forma lieve o asintomatico. Esistono molteplici argomenti teorici a favore di un possibile ruolo protettivo della risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione, tuttavia i risultati sul campo finora ottenuti sono discordanti. In particolare, non si dispone di dati statistici robusti a conferma, mentre le informazioni relative a singole casistiche sembrano deporre per una protezione tutt’al più parziale. I risultati di uno studio inglese e di uno israeliano sull’argomento suggeriscono che un ciclo vaccinale con almeno due dosi sembrerebbe ridurre il rischio di Long Covid soprattutto tra i pazienti con sintomatologia importante nel corso della fase acuta. E’ auspicabile che, con l’ulteriore progredire delle campagne vaccinali, i ricercatori comprendano meglio come vaccini e varianti influiscono su frequenza e gravità di Long Covid, la cui prevalenza nella popolazione vaccinata ha implicazioni urgenti per la sanità pubblica e potrebbe fornire indicazioni di rilievo circa le sue cause.

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