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Corte di Giustizia UE: chiariti gli obblighi di detentori di rifiuti con codici “a specchio”

La disciplina dei rifiuti classificati con codici “a specchio”, che possono essere considerati pericolosi o non pericolosi in base ai valori di concentrazione delle sostanze contenute, è da tempo oggetto di dubbi interpretativi: ora la Corte di Giustizia UE chiarisce gli obblighi dei detentori di tali rifiuti.

Con la sentenza del 28 marzo 2019, resa nelle cause riunite da C-487/17 a C-489/17, la Corte di Giustizia UE ha fornito importanti chiarimenti sugli obblighi gravanti sui detentori di rifiuti con codici cosiddetti “a specchio” (pericolosi e non pericolosi), la cui composizione non è nota.

La Corte di Giustizia ha innanzitutto specificato che la normativa europea in materia di classificazione dei rifiuti pericolosi deve essere interpretata nel senso che “il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo”.

Quindi, secondo la Corte di Giustizia, il Giudice Ue, la Direttiva 2008/98/CE non obbliga il detentore di rifiuti con classificazione non nota a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa: egli deve, invece, ricercare solo le sostanze che possono “ragionevolmente” trovarsi nel rifiuto, utilizzando “campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dal regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale”.

Inoltre, precisa la sentenza, “il principio di precauzione deve essere interpretato nel senso che, qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso”.

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