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Prassi non conformi: quando il preposto risponde dell’infortunio

Secondo la Cassazione penale, il preposto che sovrintende alle lavorazioni in quota mantiene una posizione di garanzia autonoma sulla sicurezza e risponde dell’infortunio anche quando il lavoratore tenga una condotta imprudente ma non abnorme rispetto al ciclo lavorativo.

Il caso riguarda un cantiere edile allestito in un edificio comunale, nel quale un lavoratore, incaricato di eseguire operazioni di pulizia e rimozione delle ragnatele in quota, aveva utilizzato una scala a pioli doppia senza che alcun collega la trattenesse alla base; nel tentativo di raggiungere la zona da pulire, si posizionava a cavalcioni sulla scala, perdeva improvvisamente l’equilibrio e precipitava al suolo, riportando gravi lesioni. Il capo cantiere, formalmente individuato come preposto ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), e dell’art. 19 D.Lgs. 81/2008, era stato riconosciuto responsabile in primo grado e in appello per lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, in quanto non aveva vigilato sul corretto utilizzo della scala a pioli doppia né aveva impedito la prosecuzione dell’attività in condizioni di evidente insicurezza.

La presunta condotta imprevedibile del lavoratore

Sulla base di tale ricostruzione dei fatti e delle decisioni di merito, nel ricorso per cassazione la difesa del preposto aveva sostenuto che il lavoratore avrebbe agito in modo del tutto autonomo e contrario alle direttive ricevute, invocando il carattere abnorme della condotta e la violazione degli obblighi di diligenza posti dall’art. 20 D.Lgs. 81/2008.

Il preposto ha l’obbligo di proibire tempestivamente le prassi di lavoro non sicure

La Quarta Sezione penale della Cassazione, con sentenza 1° ottobre 2025, n. 32520, ha rigettato il ricorso sostenendo che: «[il preposto] assume la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro […], anche nel senso di impedire prassi lavorative contra legem. […] Indipendentemente dal conferimento dell’incarico da parte dell’imputato, la sentenza impugnata ha ricordato che l’attività svolta [dall’infortunato] era avvenuta “palesemente sotto gli occhi” dell’imputato, il quale era […] intento a pulire proprio intorno al punto dove i due operai lavoravano e, quindi, non poteva non avere visto [l’infortunato] salire sulla scala e procedere alle operazioni di pulitura».

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