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Modello organizzativo 231 troppo generico: condannata l’azienda

La Cassazione penale ha confermato la condanna alla sanzione pecuniaria di € 100.000 a carico di una società dotata di un organismo di vigilanza e di un modello organizzativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, giudicando quest’ultimo inidoneo in quanto carente nella parte di effettiva “presa in carico” dei rischi specifici e contenente solo “generiche indicazioni sulle dotazioni strumentali e l’aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza”.

Il caso riguarda la condanna di una società alla sanzione pecuniaria di € 100.000 per illecito amministrativo ex D.Lgs. 231/2001, in relazione al reato di omicidio colposo contestato al datore di lavoro, al delegato alla tutela della sicurezza e della salute sul lavoro e al medico competente, per  l’infortunio fatale di un lavoratore con mansioni di assistente allo stabilimento durante il turno di notte: l’operaio, recatosi da solo nel locale pompe del decantatore di acque reflue al fine di sbloccare il meccanismo di pompaggio dei fanghi, era stato investito da una sostanza velenosa che ne aveva provocato la perdita di coscienza, cui era seguito il decesso per le conseguenze della caduta a terra. Agli imputati erano state addebitate, a titolo di colpa specifica, diverse violazioni: omessa adozione di misure atte a controllare il rischio in caso di emergenza, mancata informazione delle procedure da attivare in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, omesso allestimento di un impianto di decantazione conforme ai requisiti di sicurezza. Altre violazioni erano state contestate al medico competente, con specifico riferimento al settore della depurazione dei reflui e dei rischi derivanti dalla presenza, nel ciclo di lavoro, di sostanze organiche, avendo consentito al lavoratore di accedere a un ambiente ove era possibile il rilascio di gas deleteri senza previo accertamento dell’assenza di pericolo o del risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei.

La società ha proposto ricorso per cassazione contro tale condanna, sottolineando, fra l’altro, che la società avesse, sin dal 2014, adottato un modello organizzativo e costituito un organismo di vigilanza ritenuti conformi a quanto disposto dal D.Lgs. 231/2001, ma i giudici avessero invece, erroneamente, concluso che la presenza di solo un reato commesso nell’interesse o vantaggio dell’ente fosse elemento sufficiente a dimostrare l’inidoneità di tale modello organizzativo.

La Quarta Sezione della Cassazione penale, con sentenza n. 21704 del 22 maggio 2023, ha rigettato il ricorso affermando che «[…] La difesa non ha superato [la valutazione di inidoneità del modello organizzativo adottato], per esempio opponendo elementi in grado di dimostrare che lo specifico rischio era stato considerato nel modello organizzativo, a tal fine evidenziandosi che il gravame […] è sul punto silente, essendosi la difesa limitata a segnalare l’adozione del modello sin dal 2014, evidenziandone parti in cui non emerge la “presa in carico” del rischio specifico relativo a quella lavorazione, ma generiche indicazioni sulle dotazioni strumentali e l’aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza. Il che riscontra l’affermazione dei giudici territoriali per la quale la “linea politica” dell’ente non era stata orientata all’implementazione della sicurezza. Inoltre, nella specie, già il Tribunale aveva evidenziato che il reato era stato posto in essere da soggetti che rivestivano posizioni apicali nell’ente e valorizzato la tipologia di violazione contestata a tali figure, essendo emersa una vera e propria scorretta impostazione della attività produttiva che si era tradotta in un risparmio di costi nel settore specifico della sicurezza (procedure lavorative in luoghi ove esistevano conosciuti fattori di rischio; apposita formazione/informazione dei lavoratori, in relazione allo specifico rischio). A fronte di tale complessivo ragionamento, la difesa si è limitata a opporre l’esistenza del modello organizzativo e dell’organismo di vigilanza, elementi […] che da soli, nei termini prospettati, sono stati ritenuti inidonei a mandare assolto l’ente […]».

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