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L’aborto come esperienza di lutto: un dolore che non ha voce

Intervista alla dott.ssa Elena Mandorino, psicologa CDI

L’aborto è la più comune e frequente complicanza che si può verificare nel corso di una gravidanza. Sebbene il 15% delle gravidanze clinicamente riconosciute esiti in aborto, si ha motivo di ritenere che il 60% del numero totale delle gravidanze, comprese quelle non riconosciute clinicamente, evolva in aborto.

Per la sua frequenza e la sua sostanziale semplicità delle procedure mediche richieste, esso tende ad essere normalizzato e l’impatto emotivo associato viene facilmente minimizzato.

L’esperienza di maternità nell’attesa

La donna incinta parla sempre di «attesa d’un bambino», come fenomeno che si manifesta all’esperienza di sentirsi madre nel tempo e nello spazio. Tale sentire non va trascurato, perché sottende un evento potente, ossia l’essere passato in secondo piano il suo «esser donna» per far posto al nuovo «esser madre».

Quando arriva la notizia della perdita, questo non è un coagulo di sangue, un insieme di cellule, un embrione che si è perso. Le madri spesso vivono un abbandono e sono realmente in lutto per questa perdita. Un lutto che può rivelarsi traumatico per il suo carattere improvviso e inaspettato, per la presenza di segni fisici quali le perdite di sangue, per l’eventuale necessità di un immediato ricovero e, infine, per l’esposizione alla minaccia di morte.

Perdere un figlio nelle prime settimane di gravidanza per un aborto spontaneo porta con sé un senso di svuotamento.

La perdita può appalesarsi, per la donna e/o la coppia, come una minaccia rispetto alla propria potenzialità procreativa, comportando un grosso impatto sull’autostima e sull’identità personale (vergogna, sentimenti di colpa).Inoltre, l’assenza di altri figli si associa anche alla perdita di un ruolo genitoriale, che è difficile da mantenere anche pubblicamente.

Molti studi in tale ambito evidenziano come l’uomo avverta fatica nel gestire la propria sofferenza in una situazione di doppia natura, tra il sentirsi nel ruolo maschile di essere forte e dare supporto alla partner, e l’avvertire – ma dovere negare – i propri sentimenti di dolore. Di conseguenza, possono manifestarsi ulteriori difficoltà come il dover fare i conti con l’incapacità di cambiare in meglio la situazione in atto (impotenza).

Nell’aborto spontaneo il lutto e la gioia si mescolano, ma il segno di un legame profondo rimane. Per questo motivo, così come per qualsiasi altra esperienza di perdita improvvisa e inaspettata, la sua elaborazione richiede tempo per l’elaborazione. Il lutto non deve dare a processi di sostituzione, il dolore si deve attraversare. Il tempo del lutto è soggettivo e individuale, in linea generale viene affrontato entro sei mesi.  Rispetto alle donne, gli uomini ricevono tendenzialmente meno supporto emotivo sia da parte dell’ambiente sociale, che tende a minimizzare la portata del loro senso di perdita.

Se l’esperienza di tristezza è pervasiva e persistente potrebbe essere utile rivolgersi ad uno specialista psicologo psicoterapeuta.

Nei casi di poliabortività: quando le cause sono genetiche

Nei casi di poliabortività, non è sempre possibile trovare una causa certa alla base. Tuttavia, tra le cause principali di aborto ricorrente, sono presenti:

  • anomalie cromosomiche (5%);
  • malformazioni uterine (dal 15 al 27%);
  • patologie materne (dal 20 al 50%) quali le infezioni del tratto genitale, le esposizioni a farmaci e tossine, le alterazioni endocrine e immunologiche, le trombofilie congenite ed acquisite.

Al fine di diagnosticare le possibili cause di un evento abortivo spontaneo, potrebbe risultare utile incontrare vari specialisti quali: Ginecologo, Andrologo, Genetista, Immunologo, Endocrinologo, Ematologo.

Presso il nostro Dipartimento di Genetica Molecolare e Citogenetica – CDI, è possibile eseguire una visita di genetica al fine di acquisire un corretto inquadramento fondamentale per indirizzare la paziente/la coppia verso il test genetico più adeguato. Durante la consulenza genetica, il medico Genetista raccoglie la storia personale e familiare, ricostruisce l’albero genealogico e valuta la eventuale documentazione clinica della paziente. In tale ambito, sono eseguibili vari test genetici, quali:

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