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La Cassazione Penale sulla prassi di rimozione dei dispositivi di protezione dei macchinari

Per la Cassazione Penale il datore di lavoro non è automaticamente responsabile degli infortuni causati dalla rimozione di protezioni da macchinari pericolosi: deve provarsi che egli realmente fosse, o potesse essere, a conoscenza della prassi illecita.

Il datore di lavoro di una filiale italiana di una multinazionale, all’interno della quale un operaio aveva subito l’amputazione di una falange, per avere, durante il lavoro a una macchina spezzonatrice per la produzione di tubi in plastica, aggirato le protezioni e infilata una mano nello scivolo, fino al punto ove era posizionata la lama, è stato condannato per il reato di lesioni personali colpose sia in primo che in secondo grado.

Contro tale condanna aveva quindi presentato ricorso per cassazione sostenendo, fra l’altro, che i giudici non avessero tenuto conto del fatto che la lama fosse protetta da un dispositivo fissato con viti, rimosse volontariamente, che il lavoratore fosse stato adeguatamente formato e che gli addetti al controllo, in altre occasioni, avessero redarguito gli operai che lavoravano con protezioni smontate, facendole reinstallare.

La Quarta Sezione della Cassazione Penale, con sentenza n. 20833 del 15 maggio 2019, ha accolto il ricorso, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello territorialmente competente, sostenendo che nei gradi inferiori di giudizio non si era raggiunta la certezza che il datore di lavoro realmente fosse, o potesse essere, a conoscenza della prassi di rimozione delle protezioni dalla macchina, dal momento che, secondo alcune ricostruzioni, risultava verosimile che tale rimozione venisse eseguita dai lavoratori, in modo da non essere notati dal personale preposto al controllo, che non avrebbe tollerato tale condotta.

Inoltre, afferma la sentenza, “quand’anche volesse ritenersi assodato che i sorveglianti fossero a conoscenza della prassi anzidetta, la loro posizione di soggetti subordinati gerarchicamente [al Direttore Generale] non può dirsi ex se sufficiente a trarne la conclusione […] che l’odierno ricorrente fosse necessariamente messo da costoro a conoscenza del fatto che i suoi dipendenti rimuovevano, più o meno abitualmente, la protezione posizionata sulle macchine spezzonatrici: il rapporto di dipendenza del personale di vigilanza dal datore di lavoro non costituisce di per sé prova né della conoscenza, né della conoscibilità, da parte di quest’ultimo, di prassi aziendali (più o meno ricorrenti) volte ad eludere i dispositivi di protezione presenti sui macchinari messi a disposizione dei dipendenti. […] Ciò che si intende affermare è che il datore di lavoro è, bensì, responsabile del mancato intervento finalizzato ad assicurare l’utilizzo in sicurezza di macchinari e apparecchiature provvisti di dispositivi di protezione e, in tal senso, del fatto di non esigere che tali dispositivi non vengano rimossi; ma, nel caso di infortuni derivanti dalla rimozione delle protezioni a corredo dei macchinari, anche laddove tale rimozione si innesti in prassi aziendali diffuse o ricorrenti, non si può ascrivere tale condotta omissiva al datore di lavoro laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza di tali prassi, o che le avesse colposamente ignorate]”.

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