Secondo la Cassazione penale, la politica di non investimento nel settore della sicurezza, traducendosi in un risparmio di spesa, è sufficiente a condannare l’azienda in caso di infortunio a carico di un lavoratore e dunque a pagare le sanzioni pecuniarie previste dal D.Lgs. 231/2001

Il caso riguarda un infortunio avvenuto durante lo spostamento di una cisterna, a seguito del quale un’azienda è stata condannata alla sanzione pecuniaria prevista dall’art. 25 septies comma 3 delD.Lgs. 231/2001 per l’assenza di un modello gestionale sulla sicurezza ai sensi dell’art. 30, D.Lgs. 81/2008 e la presenza di varie carenze prevenzionali, indicative di una complessiva trascuratezza della società quanto alla materia antinfortunistica, tradottasi in vantaggio economico per l’entesotto forma di un risparmio sul costo delle misure di sicurezza che non poteva ritenersi irrilevante, tenuto conto della durata delle omissioni accertate.
La società ha proposto ricorso per cassazione lamentando, fra l’altro, che i giudici di merito avrebbero fatto riferimento a risparmi di spesa derivanti da carenze prevenzionali generiche, e non specifiche del settore in cui si era verificato l’infortunio e, inoltre, avrebbero erroneamente omesso di quantificare la consistenza del vantaggio per l’azienda che, nel caso in questione,sarebbe stato irrisorio, sebbene protrattosi a lungo.
La IV Sezione della Cassazione penale, con ordinanza n. 2768 del 23 gennaio 2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso affermando che: «La Corte d’Appello di Brescia, nell’esaminare il criterio di imputazione oggettiva ai sensi dell’art. 5 D.Lgs. 231 del 2001, ha dato atto della pluralità delle carenze prevenzionali, in parte non eziologicamente collegate al sinistro, con ciò descrivendo in sostanza una condizione di trascuratezza dell’ente rispetto alle esigenze della sicurezza dei propri dipendenti e, a tale ambito, ha ricondotto anche l’imputazione colposa ascritta al A.A., vale a dire la sottovalutazione dei rischi insiti nella movimentazione delle cisterne. Le ulteriori violazioni, pertanto, sono state menzionate per descrivere e dare consistenza a quella che emerge come una vera e propria politica aziendale di incuria in materia antinfortunistica, alla quale sono state ricondotte anche altre violazioni, quale la mancata nomina formale del C.C. come preposto, violazioni che, nel loro complesso, sono state ritenute espressione di una logica di sottovalutazione della sicurezza, settore nel quale, dunque, la società non ha investito. Pertanto, si conviene con la difesa, laddove ha rilevato che il criterio di imputazione oggettivo va valutato in relazione alla specifica violazione oggetto del reato, ciò ricavandosi dalla stessa lettera della legge (“L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio”), sebbene debba rilevarsi come, nel caso di specie, la precisazione sia del tutto ultronea, dal momento che anche l’addebito colposo è stato ricondotto dai giudici di merito alla complessiva politica di non investimento nel settore della sicurezza, politica peraltro portata avanti negli anni, stante la risalenza delle violazioni».